Si riparte dagli orti della ragione.
Gli orti della ragione.
Anche per chi fa l’ortolano per professione, in questi giorni trovare una piantina di pomodoro o di melanzana da trapiantare è diventata un’impresa. I vivai sono subissati di richieste e per conquistare qualche piantina bisogna mettersi in fila.
Molti sono scesi in campo, nel loro piccolo spazio magari in giardino, decidendo di coltivare un orto.
E’ un fenomeno che riguarda evidentemente non solo l’Italia.Negli USA, in California, sementi e piantine sono introvabili e sono tornati alla mente i Gardens for Victory, gli orti che gli americani furono invitati a coltivare per sostenere le spese belliche durante la seconda guerra mondiale.
In quegli anni di conflitti bellici, gli orti erano giacimento di materie prime per un modo di mangiare povero che diventò insopportabile, insieme alle fatiche del coltivare la terra, e che portò alla conquista del cibo in scatola, preconfezionato. Fu l’esodo verso la città con i suoi ritmi e le sue abitudini.
Le campagne si svuotarono lasciando i contadini in grande difficoltà ma poco dopo cominciò a svilupparsi la Community Supported Agricolture (Qui ne parlavo qualche tempo fa).
La terra, abbandonata con gli agricoltori in affanno, fu sostenuta dai cittadini che pagavano in anticipo la loro provvista di frutta e verdura ai contadini e si organizzavano per ritirarla nel fine settimana approfittando per fare una gita fuori porta, magari con una Ford fiammante.
Settanta anni dopo, in Parco dei Buoi ci ispirammo alla CSA quando pensammo che la “Community” potesse anche non essere fisicamente prossima a chi coltiva. Il web iniziava ad essere un luogo e noi provammo a perlustrare la parte agricola della rete.

Il nostro orto in abbonamento fu un esperimento straordinario al quale si ispirarono tante iniziative oggi diventate realtà aziendali importanti.
Come inciderà la Pandemia da Covid19 sul modo di consumare? Sul modo di considerare chi produce cibo autentico e chi lo vende?
Si continuerà ad acquistare in modo inconsapevole condizionati solo dal prezzo e dalle forme di pubblicità più classica? La personificazione, il contatto
con il bottegaio tornerà ad avere la sua importanza? O forse sarà importante soprattutto la credibilità e la reputazione di chi vende?
Le marche, i brand che si sono affrettati a preparare spot commoventi strumentalizzando (vergognosamente aggiungo) l’ansia da pandemia, continueranno ad imperversare nella grande distribuzione organizzata trovando gli stessi consumatori come soldatini ancora ipnotizzati e prostrati di fronte all’apparenza?

Intanto è bello pensare a questo ritorno a coltivare un orto come un ritorno al desiderio di appartenenza e connessione con la natura , come espressione di creatività e salute migliorata.
Se fosse davvero così, terra come fattore produttivo di libertà, forse avremo un futuro roseo davanti a noi e forse potremmo chiamarli gli orti della ragione, significherebbe che sta germogliando il seme che sconfiggerà il torpore mentale nel quale siamo finiti. Altro che vaccino.
Ma, chissà!